Fin troppo spesso sentiamo parlare di fake news, ma sappiamo davvero cosa vuol dire?
L’espressione inglese indica articoli o pubblicazioni redatti con informazioni inventate, ingannevoli o distorte. Questi articoli vengono resi pubblici con l’intento di disinformare o di creare scandalo attraverso i mezzi di informazione, oppure di attirare click su Internet.
Eppure, sappiamo tutti cosa facciamo quando abbiamo un dubbio amletico che ci tortura, o quando vogliamo disperatamente sapere come risolvere un problema. Lo cerchiamo online.
“L’ho visto su Internet” è una delle frasi più comuni ai giorni d’oggi. Ci capita spesso di sentirla e altrettanto frequentemente ci capita di pronunciarla durante una qualsiasi conversazione.
Consultare siti online può essere d’aiuto, ma non bisogna mai dimenticare che non tutto quello che passa dal web è attendibile. Talvolta, non saper cercare le giuste fonti, può renderci vittime inconsapevoli di notizie false e fuorvianti.
Questo discorso riguarda in particolare i temi scientifici. Quando l’argomento in questione ha un suo linguaggio, spesso difficile da comprendere, è fin troppo facile assistere alla diffusione di contenuti mendaci. La disinformazione scientifica, spesso responsabile della creazione di un clima di sfiducia della società, proprio perché pretende di avere autenticità.
La disinformazione è qualcosa che preesiste ai social network, benché l’ampio utilizzo del web abbia incrementato il fenomeno. Durante la pandemia da Covid-19, per esempio, tra le fonti di notizie false o forvianti c’erano talvolta anche testate conosciute. Trovare delle metodologie atte ad intervenire e contrastare le fake news è quindi essenziale, educando gli utenti ad una corretta verifica delle fonti.
A tal proposito, lo studio “Lateral reading and monetary incentives to spot information about science”, pubblicato sulla rivista “Scientific Reports” e promosso da un gruppo di ricercatori coordinati da Carlo Martini – responsabile del progetto che ha finanziato il lavoro e membro del CRESA, il Centro di Ricerca di Epistemologia Sperimentale e Applicata dell’Università Vita-Salute San Raffaele, diretto da Matteo Motterlini– si pone l’obiettivo di aiutare gli utenti a riconoscere online falsi contenuti scientifici, applicando le tecniche adoperate dai fact checker professionisti (coloro che si occupano di verificare la veridicità e la correttezza dei fatti e delle informazioni).
Nel dettaglio, lo studio consiste in una serie di esperimenti, coinvolgendo oltre 5 mila partecipanti del Regno Unito, con lo scopo di testare e confrontare l’efficacia delle tecniche di “Ragionamento Civico Online”, la disciplina che insegna come riconoscere e valutare quello che si trova in rete. Dunque, si tratta di imparare a riconoscere l’attendibilità della fonte ogni qual volta leggiamo un testo su internet.
Per riuscire a comprendere e osservare il comportamento degli utenti coinvolti nello studio, i ricercatori hanno proposto – attraverso una simulazione fedele di Facebook- una serie di post che si ricollegavano ad articoli realmente pubblicati da varie testate, riguardante svariati argomenti scientifici. Alcune notizie erano scientificamente provate, mentre altre erano fake. I partecipanti erano liberi di condurre ulteriori ricerche su siti web esterni, al fine di farsi un’idea più precisa della validità scientifica dei post in questione.
Al fine di rendere la ricerca più accurata, i ricercatori sono ricorsi a due metodi di “convincimento” per incentivare i partecipanti ad applicare tecniche di verifica dei fatti e delle fonti. Il primo metodo comprendeva la remunerazione economica, raddoppiando la quota di partecipazione se i partecipanti riuscivano a comprendere la validità del post che stavano valutando. Il secondo metodo, invece, riguardava i pop-up (finestre che compaiono automaticamente durante l’uso di un’applicazione per attirare l’attenzione dell’utente) che attraverso una serie studiata di domande, ricordavano all’utente di verificare l’accuratezza delle informazioni prima di condividerle. Dall’esperimento è emerso che entrambe le metodologie sono efficaci, soprattutto se combinate tra loro.
Come conclusione, dallo studio sono emerse tre metodologie considerate fondamentali per combattere le fake news:
- La consultazione della stessa notizia su altri siti, attraverso la cosiddetta “Lettura laterale”;
- Il controllo della fonte (la sua identità politica, i suoi interessi);
- La “astensione dal click”, ovvero l’astenersi dal cliccare immediatamente sui primi risultati che un motore di ricerca presenta, perché non sempre sono veritieri.
La ricerca sulla lotta alla disinformazione si è sviluppata in modo sostanziale solo nell’ultimo decennio, attraverso una serie di approcci, i quali comprendono:
- La correzione sistemica delle affermazioni false dopo che sono state pubblicate;
- Le misure preventive prima dell’esposizione;
- Gli interventi che incidono sulle scelte degli utenti senza limitarne la libertà decisionale;
- Innescando un processo di crescita dell’autostima degli utenti stessi.
Tutti questi approcci si sono rivelati estremamente utili nel contesto dei social media, che sono oggi, con ogni probabilità, la prima fonte di fake news.
Sebbene l’attenzione e l’interesse dei cittadini nelle fonti di informazioni sicure stiano in parte nelle mani di chi ha il compito di informare, imparare a cercare e a valutare le informazioni è il modo migliore per non cadere nella trappola della disinformazione. È dunque importante essere consapevoli delle trappole che si possono trovare ed imparare a cercare le informazioni lì dove sappiamo che sono sicure.